È come vivere in un universo parallelo. Non riconosceresti il tuo mondo, perderesti ogni punto di riferimento. Tu che sei sempre stato così empatico, fisico, aperto a ogni esperienza sociale.
Tutto ovattato, surreale. Lo chiamano Covid-19. Un virus, tanto invisibile quanto maledetto. Nefasto come quel destino crudele e infame che ti ha scelto strappandoti ai tuoi affetti, ormai da più di ventidue mesi.
Fermi, immobili, a guardare attraverso un vetro la vita che scorre sul calendario, le ore che girano su un orologio. A cancellare ogni interazione con l’esterno, col quale mantieni contatti telematici o telefonici, e nulla più.
Rarefatta quotidianità, che mai avremmo immaginato di dover vivere. E che dovremmo inventare.
E io, che già ero ferma al palo, a quel maledetto 27 aprile, ora mi sento ancora più schiacciata. Non ho paura del mio futuro, quello ormai è già compromesso al midollo. Ma guardo a tuo fratello.
Che scalpita, lui che dopo te, e come te, morde la vita a cercare un riscatto, che nel suo caso vale per due.
E come l’ennesima beffa, la primavera sembra arrivata, sputandoci addosso giornate gradevoli che rendono la nostra reclusione forzata ancora più amara.
Sarà un segno di speranza, a voler dire che il sole tornerà per tutti. O un gesto di sfida, di una natura più forte dei malsani comportamenti di tutta l’umanità.
Non so come interpretare tutto questo. L’unica certezza è che spero finisca presto, anche per una come me, ormai capace di guardare la vita scorrere dietro un vetro.