È arrivato. L’autunno è arrivato. Lo amavamo tanto io e te. Nell’attesa dell’inverno, godevamo dei colori che questa stagione riesce a regalare. Spero mi aiuti a ritrovarti, dissennato desiderio.
Quotidianità spesa a inseguirti in ciò che adoravi, anche se fa male da strozzare il fiato. Quando perdi un figlio, perdi un pezzo della tua vita che sai non tornerà, mai più. Nulla potrà sostituire il figlio che non stringi in un abbraccio, o non rimproveri per qualche sciocca incomprensione.
E allora, l’unica cosa che si può fare, è cercarlo in ogni piccola sfumatura. Io, non so se riuscirò in questa impresa, o almeno al momento mi sento completamente incapace. Se anche arrivo a palpare la tua evanescente presenza, una angoscia senza mia volontà mi assale, e mi sconfigge.
Facendomi tornare al punto di partenza, alla mia disperazione che ormai attanaglia la mia quotidianità. Lavoro di una vita, spesa a setacciare te ovunque, riempita di perché infarciti di tanto rancore, e da troppo livore, che non mi permette razionalità.
Ho paura. Che la mia smisurata rabbia possa portarmi a disprezzare quello che posso cogliere per poterti ancora vivere. Perché ora è così, e nessuno può convincermi del contrario.
Le cose belle, mi chiedo perché sono state irreversibilmente negate a te, nel modo più crudele e disonesto. E a me, di viverle con te.
È come azione e reazione. Ogni mia azione, timida apertura a una luce che non vedo da più di cinque mesi, genera una reazione piena di acredine, di acrimonia, che azzera ogni mia speranza. E di nuovo buio. Fitto, assoluto.
Che soffoca, meschino, a non dare tregua a me, capitolata da tempo alla sua crudeltà.