Quota cento; sono i miei giorni, oggi, vissuti senza te. Siamo passati già ai numeri a tre cifre, non voglio pensare a come ci sono arrivata, trascinandomi in una quotidianità che non è più mia.
L’unico pensiero è che continueranno a sommarsi, i miei giorni vuoti di te, come un pallottoliere infinito, moto perpetuo che si autoalimenta evidentemente del mio inesauribile dolore. È tutto così astratto, così distante da quella vita che avevo immaginato per te, per noi, tanto da apparire tutto assurdamente irreale.
Iniziano a pesare i ricordi, e incredibilmente opprimono al pensiero che mai saranno, mai più. Ti ho vissuto, io sola per ventiquattro anni e tre mesi. Perché quei nove mesi, e nessuno se ne abbia a male, sono solo i nostri, tu fagocitato in me, a non lasciarci contaminare da altro.
Tutto il resto è venuto dopo, a riempire la tua vita, la stessa che ti ha voltato le spalle, cento giorni orsono.
A volte mi chiedo se ci siamo persi qualcosa per strada, nella tua breve esistenza, se siamo stati per come dovevamo essere o se invece avremmo potuto fare di più, nella nostra quotidianità, che davamo per scontata e a noi riservata per un ignoto tempo, che mai avremmo immaginato così breve.
E invece siamo stati traditi, tu per primo, io e gli altri tuoi affetti, riflessi a te. Non trovo risposta, ma solo la certezza che, fin quando ci è stato permesso, abbiamo morso la vita insieme, endemicamente.
Quota cento, stupida riflessione di una mamma che, da cento giorni, centellina ogni istante di una esistenza, defraudata di te.