Tre mesi. Il tempo passa, inesorabile e beffardo come sempre, fregandosene del dolore che scorre continuo e inesauribile nelle mie vene. Il tempo negato a te, alla tua vita. Il tempo negato a me, con te.
Altro tempo, che spero riesca ad alleggerire la mia sofferenza perpetua, anche se sembra di andare incontro a un baratro sempre più profondo. Novantadue giorni che avrebbero potuto essere, e invece non sono stati, destino bastardo, sorte maledetta, fato nemico, ostile fatalità.
Tre mesi nei quali tutto ha continuato a scorrere, tranne la tua vita, fermata a quel funesto venerdì 27 aprile. Spenta su un marciapiede, dove qualcuno o qualcosa ha deciso che la tua esistenza doveva finire. Ignorando che oltre alla tua, di vita, si sarebbe fermata anche la mia.
Io rimasta al palo, il tuo palo, perché se cerco di guardare avanti, mi accorgo che lo sguardo è sempre lì, a te, che saresti stato, e che invece non sarai, mai più. Saresti stato un uomo, adulto, un lavoro e una tua vita nella quale io, spettatrice attiva e sostegno silenzioso, avrei vissuto respirandoti. Inalando le tue vittorie e sorreggendo le tue sconfitte, concedendoti sempre la certezza che io, comunque, sarei stata sempre lì, per te, a ogni tua chiamata, a ogni tuo bisogno.
Fino alla mia di fine, perché così doveva andare. La fine doveva essere la mia, per legge di natura, e non la tua, innaturale congiuntura di un destino sleale e disonesto. E invece sono qui, a immaginare come poteva essere la nostra vita, logorandomi del fatto che congetturare non significa esistere, ma solamente immaginare in modo evanescente e velato.
Velato anche dalle mie lacrime, che continuano a scendere, senza soluzione di continuità.
Ti aspettavo e mi consoli.
Vorrei poter prendere un po’ del vostro dolore, per alleggerire il vostro pianto ma so bene che ognuno ha il suo, personale, unico. Allora piangere insieme è la sola condivisione possibile, così come continuare ad amarlo, come il cuore ci dice.❤️