Guido io o guidi tu? Quanti viaggi abbiamo fatto insieme? Ho perso il conto. Fra le tante trasferte lavorative e quei pochi (purtroppo) spostamenti di piacere siamo stati chissà quante ore in macchina.
Gomito a gomito. Te e io. A parlare, a discutere, a ridere, a cantare. A prenderci in giro. A ricordare un passato maledettamente breve. Una volta, sulla Roma-L’Aquila, a evitare di prendere un piccione che voleva per forza di cose sfracellarsi sul vetro della Mercedes. Ogni tanto mi dicevi “papà, quando è che diventi serio?”, ma in realtà sapevi scherzare più di me, e quella frase sintetizzava un rapporto schietto, come non avevo avuto da ragazzo.
Sbagliammo strada per andare a Maenza, finimmo in mezzo ai campi di grano; parlammo di donne, quella sera, al ritorno… di rapporti di coppia… e mentre discettavamo mi chiedevo se il padre fossi tu o io. Tutto arrovesciato.
Avevi avuto la capacità di invertire i ruoli anche sul lavoro, eri diventato il Ceo e io il ragazzo di bottega. Dettavi i tempi, eri una macina, mentre gli altri organizzavano task force di cervelli pensanti tu riprendevi con la telecamera, scaricavi le immagini e le montavi con buona pace di chi poi diceva “già fatto?” ma a seguire voleva tirare sul prezzo. Il volley a Montefiascone, dove t’arrampicavi come una scimmia per posizionare la telecamera. E la vela a Porto Recanati, dove abbiamo mangiato pesce per una settimana che avevo paura sbucassero le squame sulle nostre braccia.
E quella prima volta in Val di Sole, io a lavorare per il mondiale di canoa e tu, ancora alle medie, a seguirmi, a rubare con l’occhio già tredicenne, a sentirti male davanti a un piatto di funghi trifolati, a girar da solo il paese mentre preparavo comunicati stampa per l’ennesimo “padrone” al quale ho dato tanto ma che alla fine neanche m’ha fatto un monumento. E questo, ormai, l’avevi capito da un pezzo anche tu. (M.M.)