Ho riguardato i tuoi girati, video della tua breve esistenza. Inevitabile soffermarmi sul “Vipiteno’s breath”. La nostra passione, la mia passione trasmessa a te.
E guardare quel filmato è stato vedere cosa i tuoi occhi amavano focalizzare e inquadrare. Particolari della tua vita, trascorsa ad annusare e afferrare tutto quello che amavi.
E la tua prepotente voglia di vivere, riversata in poco più di due minuti di istantanee di momenti felici, che abbiamo sempre sognato di vivere insieme e che mai sarà. Maledetti i troppi “quando si potrà” che oggi mi squarciano l’anima.
Ti rincorro, amplificando il mio dolore fino ad accorgermi che oggi è peggio di ieri. Perché cementa la mia rabbia, perché cresce il senso di impotenza e di infelicità che mi assale ogni istante. E guardare la tua vita con i tuoi occhi, è peggio che impiccarmi all’albero più alto e lasciare cadere nel vuoto il mio corpo, fine di una eterna afflizione.
Nessuno può capire. Inutile sperare. A volte mi chiedo se metabolizzare tutto questo sarebbe stato più facile, in un rapporto conflittuale tra madre e figlio.
E invece io e te, troppo uniti e mai staccati da un cordone ombelicale mai reciso. Che mi lega alla tua assenza, e mi trattiene impedendomi di respirare.
Mi affaccio ogni tanto, come oggi, nella stanza dei ricordi, di questi ricordi. Ma fa male, e richiudo velocemente il passaggio. Per paura di crollare, per questa vita perennemente in bilico, dove a dettare i tempi è solo la mia infinita disperazione.
Non so più, se davvero riuscirò nell’impresa.