Lacrime. Autonome. Frullato di rabbia, tanta, a sottolineare la tua assenza, contrapposta alla gioia per questa impresa epica della tua squadra, a immaginarti qui.
Sono questi i momenti che nessuno può comprendere, se non una mamma tra terra e cielo come me. Macigno sempiterno che si manifesta in una stupida quotidianità, fatta anche di una partita in televisione.
Il tuo Liverpool, magnificenza materializzata, che ti avrebbe inorgoglito. A sentire le tue urla, la tua esultanza, e le tue prese in giro riservate a tuo fratello, romanista fino al midollo, che punta sul quattro a zero dei tuoi Reds per affetto, non certo per convinzione calcistica.
Pugnale a trafiggermi a tradimento, l’immagine di Klopp che alza gli occhi al cielo rivolgendo all’infinito un suo ringraziamento. Che interpreto, cuore di mamma, come dedicato anche a te, dall’allenatore che tanto amavi.
E che cercavi di emulare, imponendolo ai tuoi ragazzini, dettando loro schemi e tattiche di gioco anglotedeschi. Ai tuoi ragazzi, anche a loro ho pensato. A saperli a tifare per il tuo Liverpool, che hanno imparato ad amare insieme a te, nei tuoi racconti.
Vivrò la finale di Champions League in modo bipolare, come ormai vivo la mia quotidianità. Ma anche questo è l’ennesimo scalino da salire.
You’ll never walk alone, vita mia.