Se è vero, come ripeto spesso, che è necessario “uno di tutto” per cercare di metabolizzare, mi accorgo che, viverlo questo primo anno, non è facile.
A giorni, sei mesi, metà anno, a illudermi che qualcosa possa cambiare. La tua assenza, ormai radicata nella mia anima, non so se conta i giorni come me, umanamente sconfitta da una disperazione senza peso specifico.
Poco importa, perché questo fardello temporale sono solo io a sentirlo scorrere nelle mie vene, a bruciarmi ogni momento di acume. Mi sento poco lucida, irrazionalmente catapultata in una quotidianità che trascino bipolarmente, a giocarmi dei ruoli decretati perché devono esistere, ma non scelti da me.
Io, di mio, almeno al momento, vorrei solo sprofondare nella totalità del mio dolore, senza doverlo scremare. Senza dover fingere, ma solamente lasciandomi sopraffare dalla incommensurabile sofferenza che patisco, che devo fare mia fino in fondo, per poterla in qualche modo contrastare.
Imposizioni, invece, condizionano le mie giornate, dettate da responsabilità che ho, in primis, nei confronti di tutti e due i miei figli. E non si dica che devo farlo invece per me.
La mia vita è direttamente proporzionale alla vita dei miei figli, di tutti e due. E oggi, difetto di una variabile, che rende nulla la mia equazione vitale.
Solo l’incognita tempo potrà determinare un risultato diverso, alchimia di un futuro che andrebbe ricostruito, con una unica costante: la tua impalpabile presenza.
Che resterà con me, fino alla fine dei miei giorni.