Inutile ogni sorta di difesa, o di strategia. Si rimane immobili, storditi da un dolore che non ha eguali, a cercare di riordinare una distruzione che non ha paragoni, nemmeno con il caos cosmico primordiale.
Intorno, tutto continua a girare come se nulla fosse accaduto, perché poi in definitiva nulla è accaduto, se non direttamente e intrinsecamente coinvolto dalla tua persone e dal tuo amore. Superfluo il tentativo di spiegare cosa si prova, inammissibile sforzo per chi, come me, oggi ha appena la forza di sopravvivere, e non di vivere.
Sopraffatta da una angoscia che non molla, che si è assicurata un posto in prima fila nella mia anima sconquassata, al quale mai rinuncerà. Ricordi che servono ma che ora fanno male, stilettate mortali inferte senza pietà, a ricordare ciò che è stato, e che mai più sarà.
Ti cerco ovunque, ti ritrovo ovunque, ti respiro ovunque, ti leggo ovunque, anche su una data di scadenza di una stupida confezione di uova, che riporta laconica “da consumarsi preferibilmente entro il 11/10/2018”.
Non si può capire cosa si prova, perché in fondo ammetto che anche io, ancora, non riesco a capire cosa sto vivendo. È tutto assurdo, tutto da imparare, tutto da reinventare. Ammesso ci sia qualcosa che si possa reinventare. Ci si sente calpestati, sopraffatti da un ignoto che ha deciso di demolire quello che di bello, di unico, di “per sempre” nella vita di una mamma esiste.
Uno sconosciuto che si è portato via, senza spiegazione alcuna, te e con te metà della mia anima. E l’altra metà rimane appesa, a guardare ciò che resta, incapace di vedere realmente quello che è rimasto.
Giorni tutti uguali, stessa diagnosi e nessuna prognosi, a sottolineare una condizione di morbosità cronica irreversibile.
Da quel maledetto ventisette aprile, quando alle dodici e sedici minuti per l’ultima volta mi hai scritto su WhatsApp…
…non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c’è, c’è, ce lo sentiamo tutti qua, come un’angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell’atto stesso che la viviamo, è cosí sempre ingorda di sé stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati.
Da “la morte addosso” conosciuta come “l’uomo dal fiore in bocca”
Luigi Pirandello
…..dai ricordi che ci tengono legati.
Questo è il “per sempre” di oggi. Certo che non basta, certo che fa male, ma è tutto dentro al cuore. Dobbiamo imparare a dare spazio ai ricordi, ed Emi per fortuna ce ne ha lasciati da regalare, senza risparmiarsi, per donarceli uno più bello dell’altro. ❤️