Non so come io riesca in questa impresa, eppure sto imparando ad indossare due facce. Io, Giano bifronte sciagurato. Questa divinità romana rappresentava il passato e il futuro, il tutto e il contrario di tutto. Per me è un’altra storia.
Le mie due facce non sono altro che la finzione, con gli altri, di poter affrontare la mia tragedia, contrapposta alla miserrima realtà attaccata a un dolore che non ha eguali. E tutto questo non è imbarazzo a mostrare la mia sofferenza, ma solo difesa.
Cerco di proteggermi da situazione che, oggi, ho contezza di non saper gestire. Tatuaggio indelebile disegnato sulla mia pelle da un destino bastardo, sofferenza senza eguali che mi vorrebbe urlatrice perpetua del mio spasimo.
Lo so che è difficile rapportarsi con chi, come me, vive tra terra e cielo. L’imbarazzo e l’assenza di parole nei miei confronti sono più che palpabili. Non si può chiedere a una mamma come me “come stai”, la risposta è scontata. Ed è di fronte a queste piccole quotidianità che entrano in gioco le mie due facce.
C’è quella che vorrebbe dire “come pensi io possa stare?”, e quella di finzione, che mi impongo di sfruttare, che mi lascia dei laconici “cerco di andare avanti”. Tutto appare incredibilmente futile, se guardato con i miei occhi.
Non è chiudermi al resto del mondo, è leggerlo con una chiave di lettura drammaticamente nuova. Perché inevitabilmente mi ripeto che è un attimo, e la vita fa click e si arresta, per sempre. E allora, è necessario che io impari e mi impegni, a inquadrare gli istanti in modo diverso, a gestire priorità che in altri momenti non avrei mai scandito.
Piena di paura, perché la coscienza di quanto accaduto mi porta a vivere nel terrore che possa accadere di nuovo, nella certezza tuttavia, ormai sperimentata sulla mia pelle, che ciò che qualcuno ha deciso accada per te, di così drammaticamente doloroso, non può essere cambiato.
Ma di questo, racconterò un’altra volta.