Ventiquattro anni fa, pari tempo, la tua esistenza era ancora legata alla mia da un cordone ombelicale che mai è stato tagliato. Nemmeno ora che vivo nella tua assenza, avvicinandomi al tuo ventiquattresimo compleanno. Irremovibile ricordo, oggi più che mai, di quel tempo nel quale una mamma non può immaginare un epilogo drammatico come quello della nostra vita.
E, inesorabilmente, tante riflessioni intorno a tutto ciò, a regalare rabbia e disperazione, per quello che avevo immaginato. E che è stato cancellato in un nanosecondo da una mano infame senza scrupoli né identità. Le aspettative, i sogni, i desideri e le fantasie riversate in te, che ancora non avevi un volto, ma una identità e una presenza solo per me.
Tutto questo ora stride, enormemente, con quello che abbiamo iniziato a vivere. Perché se appena nato la tua vita è stata messa nelle mie mani, è vero anche che, crescendo, io ho riposto la mia nella tua, e in quella di tuo fratello. E da quel maledetto ventisette aprile, metà della mia vita se ne è andata con te.
Me con te in braccio, vicino la finestra della stanza di ospedale, a prenderci il sole delle ottobrate romane. Fermo immagine che frulla di continuo nella mia testa. Quel sole accarezzava noi due, e lo leggevo come costante imprescindibile della nostra vita. A illuminare e scaldare anche i momenti bui che certamente avremmo vissuto, ma che avremmo superato insieme.
Ora il sole non mi scalda, non più. Vivo in un perenne freddo, che è diverso dal freddo meteorologico che amavamo tanto io e te. È un freddo dell’anima, che ho paura nulla potrà mai scaldare. Perché mi manca un pezzo di sole, che se ne è andato per sempre insieme a te.
Ritroverò il tuo raggio luminoso, spero non siano solo parole, o stupide convinzioni del momento. Continuerò a cercarti ovunque, fino al mio ultimo respiro, accompagnata solo dalla speranza che ritrovarti possa accadere, nel tempo. Per ora, cerco di intiepidire i miei brividi di freddo, con lacrime e ricordi.
Al momento, solo questo mi è concesso.
Questa foto è stata davvero dirompente, vederla e piangere un tutt’uno. Forse perché rivederlo così piccolo implica l’attribuzione di una vita davanti, di una crescita combattuta, di una maturità conquistata, ma mai di una vita spezzata.
A volte riesco a pensarci senza troppo dolore. Altre, come questa, è un onda soffocante che si abbatte e ti lascia senza respiro. Mi sembra come se sia sempre rimasto così, indifeso, da tenere in braccio e coccolare, da tenere per mano per attraversare la strada. Forse per dirmi che c’è ancora strada da fare insieme, almeno nel cuore.❤️
Ciao bella. Vivo un evento troppo grande per me. Troppo, troppo. Cerco di trovare vie logiche, ma niente. Provo sul piano spirituale, scomodo improbabili e indecifrabili Karma, ma il risultato non cambia. Sto cercando di averlo più vicino possibile, esploro forme di dialogo “a distanza”. Passo spesso in via Ravà, quella della chiesa dove lo battezzammo. Pappus! Basta, mi fermo. Ciao