Adoro questa foto. Sono i miei due figli, piccoli, Eravamo a Padova, basilica di sant’Antonio. Nel cortile si sono incamminati, uno di fianco l’altro, e questo scatto l’ho sempre considerato il preludio della nostra vita.
Ho sempre avuto la certezza che loro due, unitamente, avrebbero affrontato la loro vita. Vederli allontanare insieme, di spalle, è sempre stata la mia idea del loro futuro. Io a guardarli mordere i loro giorni e i loro sogni, nella consapevolezza di esserci per loro, nella loro convinzione della mia presenza, fino all’ultimo giorno della mia vita.
E invece drammaticamente tutto questo si è rotto, ha avuto l’epilogo più tragico, che non puoi immaginare, mai. E al quale mai ci si potrà abituare.
Perché, è inutile nasconderci dietro un dito, questo strappo spaventoso, terribile e doloroso continuerà a condizionare per sempre l’esistenza, anzi la sopravvivenza, il nostro sopravvivere.
Perché, malgrado le buone intenzioni di tante parole spese da chi, con affetto, cerca di alleggerire tanto dolore, la realtà resta quella che io, il fratello e il padre stiamo vivendo.
Un tavolo che fu a quattro zampe, e che ora cerca di restare in piedi con tre. E basta una briciola per far vacillare questo tavolino, una piuma, un soffio di vento. E il rischio di cadere è scontato.
Capitombolare e non riuscire a rialzarsi, non più. Funamboli sospesi, senza protezione alcuna, pronti a un volo pindarico che non abbiamo cercato, ma che ci toccherà vivere, strada a senso unico fino al nostro ultimo sospiro.