Le tre “R” che mi stanno distruggendo. Ricordi: sono ancora troppo emotivamente fragile, per viverli. La tua infanzia sembra ancora chiusa nel cassetto delle rimembranze, solo fulminei flashback che passano scivolando sul dolore, quasi a voler allontanare l’inizio, poiché oggi devo leggerci anche una fine, un epilogo che alla tua nascita mai avrei potuto immaginare, nessuna mamma potrebbe immaginare.
Le reminiscenze, quelle prossime, sono tutte vive, e torturano ogni istante del mio sopravvivere, disumano stillicidio inferto a me, già ferita a morte dalla tua eterna assenza. Le annuso quotidianamente intossicandomi di disperazione, cercando di assorbirle il più velocemente possibile. E, metabolizzandole, le scopro trasformate in rabbia.
Rabbia, sentimento lecito e scontato per chi vive come me tra terra e cielo. Rabbia, inevitabile quotidiana compagna, che rifletto su ogni cosa che poteva essere per te, e che mai sarà. Cerco di scacciarla o almeno di sopirla un po’, ma al momento non riesco ad alleggerire questo mostruoso fardello.
Perché lo so che è irrazionale convivere con questo impulso, ma è umanamente plausibile portarselo dietro come ostico fagotto, risposta, giusta o sbagliata, a una disperazione troppo forte da sopportare. Conflitto di interesse, a pensarlo con razionalità.
Razionalità: questa grande incognita. Si può essere razionali, vivendo tra terra e cielo? Si può razionalmente pesare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, quando tutto ti sembra scorretto? La vita di mio figlio è stata scorretta, disonesta e sleale, e io non posso o, almeno ora, non riesco a perdonare l’ignoto che ha confezionato tutto questo.
Non cerco un colpevole, ma non tollero, almeno non ora, l’idea del “doveva andare così”, difesa che al momento mi appare senza senso, inutile ricerca di una risposta che non c’è, e mai ci sarà.
L’unica certezza, al momento, sono le mie tre “R”, alle quali, giocoforza, dovrò trovare un posto nella mia vita, a limitarne i tormenti.