Non pensavo, ma è arrivato. Credevo di scamparla, di non cadere nella trappola, presunzione vana la mia. Ero convinta non servisse a nulla e perciò lo avevo accantonato, nella ambizione di esserci riuscita, di averlo vinto, di averlo sconfitto a priori. Ero irrazionalmente convinta di poter usare tutta la mia razionalità, per poterlo annientare sul nascere e scrollarlo dai miei pensieri.
Stupida superbia la mia, messa in campo più per difesa che per certezza. E infatti eccomi qui, a confrontarmi con il nemico numero uno per una mamma come me, tra terra e cielo: perché?
Quando tutto è accaduto, ho cercato di convincermi che non sarebbe servito a nulla pormi questa domanda, sterile e senza risposta. È inutile, mi ripetevo, rivolgermi un quesito del genere, mai responso ci sarà.
E la mia bolla, tronfia paladina del mio dolore, a difendermi in modo altezzoso, conscia che solo lei poteva farlo, mi aveva illuso di questo. Ma questa mia persuasione mi ha abbandonato, da qualche giorno, lasciando spazio alla drammaticità di questo sciocco interrogativo.
Perché a te, perché a noi, perché è successo, perché abbiamo meritato tutto questo, perché doveva andare così?
Continuo a ripetermi che mai ci sarà riscontro, a tutti questi perché, ma ora non riesco a non pormeli. È un continuo stillicidio, in ogni cosa, in ogni gesto, in ogni pensiero ormai è presente questa domanda. Perché? Porterà a nulla, lo so, ma la mente sembra disgiunta da quel briciolo di razionalità che credo ancora di avere, e mi ripropone come un refrain questo mistero.
Perché mistero è, e tale resterà. Nessuno, mai, potrà fornirmi risposta, ne sono più che cosciente. Nulla potrà placare la mia sete di verità su questo dramma che devo vivere, giocoforza per tutta la mia vita. Dovrò imparare a convivere, con questo insensato e inutile perché. Conscia, peraltro, del fatto che, in fondo, trovare una risposta non cambierebbe il mio dolore, la mia disperazione.
È un cane che si morde la coda, che si fermerà, cucciolo sfinito, senza trovare consolazione.