Distolgo il pensiero e faccio l’impossibile per scacciare la tua immagine, che puntuale arriva la sera, prima di addormentarmi. Faccio mille cose, diverse fra loro, per evitare di pensarti. Piangerei, se abbassasi la guardia e cominciassi a focalizzare i pensieri sulla tua figura. Per cui faccio il “duro”, parlo volentieri di te con le altre persone senza dribblare le domande, pure le più banali, ma faccio l’impossibile per non restare da solo, con te.
Perché se solo cadessi nel tranello, farei poltiglia del mio cervello, del mio cuore. In compenso cerco di tenere a mente i tuoi consigli da ventitreenne che pareva più grande dell’età riportata su una carta d’identità che puntualmente perdevi, al punto che prima o poi al Comune ci avrebbero dato un “buono sconto” per i prossimi documenti che avremmo chiesto. Cerco di tenere a mente i tuoi consigli sul lavoro così come nella vita. Mi hai insegnato per esempio che se un cliente chiede un lavoro vuol dire che se lo può permettere, e che se chiede determinate specificità, deve pagare, puntuale e senza chiedere sconti. “Altrimenti che il lavoro lo vada a chiedere a qualcuno con meno professionalità della nostra”, dicevi sempre, mentre c’incamminavamo verso destinazioni assurde e lavori altrettanto insensati, perché tutti volevano la luna nel pozzo cercando di pagarla “a babbo morto”.
Avrei dovuto darti ragione, ma può un padre con trent’anni di professione sulle spalle dover dire a un figlio che s’era da poco affacciato nel mondo del lavoro, che la ragione era del pargolo? Ah, a proposito… oggi è venuto a casa Francesco Caremani, abbiamo parlato tanto di te, siamo stati più di due ore insieme, s’è commosso davanti all’urna cineraria e mi ha detto “quel giorno che venni qui per farmi insegnare da Emiliano come si montavano i video, mi colpì la sua educazione”. Ecco, figliolo, volevo solo farti sapere che mi ha fatto piacere sentir dire questa cosa. (M.M.)